mercoledì 18 aprile 2018

IL POSTO DA DOVE VENGO



Cari amici come ho già scritto nella premessa del blog ( il 12 aprile ndr), “Si dice che "la mela non cade lontana dall'albero": una verità assoluta su cui si basa tutta la storia psicologica di ciascuno di noi.. Alla fine siamo il risultato del posto (inteso come famiglia in primis e ambiente culturale poi),  da dove veniamo!”
Tutti noi abbiamo una famiglia alle spalle, con pregi e difetti, sia questa quella biologica, quella adottiva o quella “allargata” per chi magari ha più matrimoni alle spalle e/o compagni e/o un mucchio di parenti in generale. Fatto sta che è da lì che nasce il tutto: è il posto dove veniamo “forgiati”.
Può più o meno piacerci come affermazione, ma al di là delle singole opinioni è purtroppo o per fortuna un dato di fatto.
Voglio chiarire da subito, a scanso di equivoci per il lettore, che quanto scrivo non è “un processo” alla MIA famiglia o alla famiglia in generale ma semplici constatazioni sulla realtà dei fatti, per quanto riguarda il giudizio ognuno esprimerà il proprio, verso la propria storia, in privato dentro di sé.
All’inizio del mio percorso di cambiamento psicologico, ben prima dell’intervento di bypass, giustificavo ogni abbuffata, decisione sbagliata ed emozione negativa dando la “colpa” a situazioni e/o persone esterne da me stessa. Un modo come un altro per andare avanti, raccontandosi che in fondo “poverina” sei una vittima incompresa e che là fuori il mondo è brutto e cattivo.
Quanto era facile e comodo (e mi manca.. OGNI TANTO CI CADO ANCORA)!!
Ogni volta che qualcosa non andava, dalla banale arrabbiatura perché qualcuno ti taglia la strada alle grandi sconfitte come per esempio la perdita di un compagno o del lavoro o di un amico, o un lutto, o magari semplicemente noia e solitudine il cibo era lì ad attendermi a braccia aperte quale rifugio sicuro. Forse proprio per il fatto che bisogna “mangiare per vivere” sai che questo “rifugio” sarà lì per sempre e non potrà essere soggetto a nessun tipo di perdita. Ed è nel concetto di “perdita” che la mia storia ha inizio.
In psicologia il concetto di perdita viene racchiuso nei cosiddetti “problemi di attaccamento”: fin dalla nascita quello che conta per il bambino è il rapporto che si instaura con la mamma e quanto questo rapporto possa essere “sicuro”. I rapporti con la madre possono essere di tipo "sicuro", "insicuro" e sicuro/insicuro".
Se fai parte del primo gruppo hai vinto alla lotteria e sicuramente sei una persona che di dipendenze sente parlare solo dai media o dagli altri ma che mai le sperimenterà; se fai parte del secondo gruppo molto probabilmente la o le dipendenze in generale sono l'ultimo dei tuoi casini perché la tua vita probabilmente (l'eccezione esiste sempre) è già abbastanza devastata da molto peggio; se fai parte dell'ultimo gruppo, quello in cui possiamo racchiudere la maggioranza delle persone ME COMPRESA, molto probabilmente almeno una volta nella vita una dipendenza da qualcosa l'hai sperimentata: non necessariamente diventa patologica ma diciamo che nel migliore dei casi vieni definito come "persona estremamente sensibile per cui il giudizio altrui conta molto". È proprio questa comunemente definita "sensibilità"che ci mette nei guai.
La verità è che non è che sei sensibile perché lo sei di indole ( se lo fossi saresti una persona equilibrata che ha trovato il suo posto nel mondo e si interessa in maniera totalmente altruistica all'altro: rapporto "sicuro"), sei "sensibile" perché sei talmente debole che qualsiasi cosa potenzialmente diventa una ferita mortale.
Perché succede?
Succede proprio perché la sperimentazione di un rapporto affettivo (tra l'altro il primo) così importante come quello con la mamma, un giorno è stabile e un giorno non esiste.
Con questo non intendo dire, per banalizzare, che un giorno la mamma era di umore buono e l'altro negativo ma più dolorosamente: "se oggi piove o nevica non è perché è realmente così ma perché lo decido io".
Questo vuol dire che indipendentemente dal nostro comportamento (" bravi" o "cattivi" bambini) è lei che decide cosa siamo e noi allocchi abbocchiamo felici perché dopotutto è sempre la mamma!
Questo purtroppo fa affondare le nostre radici in un terreno franoso e non ci permette di costruire un senso di sé (un "io sono") forte e sicuro: in fondo non sappiamo cosa siamo!!
Ricordo da ragazza le "famose domeniche" di cui ho scritto nello scorso capitolo del blog ("ricordo che stavo guardando un film western e mi sono fatta fuori uno stracchino intero con grissini e coca cola!" ), per me erano forse le più devastanti perché erano l'unico giorno che potevo essere a casa a pranzo con la famiglia e la mia di famiglia ha sempre usato il cibo per strumentalizzare i rapporti: papà era un uomo molto particolare e il suo rapporto con la mamma molto profondo ma anche esclusivo da cui ero puntualmente tagliata fuori. Spesso questa manipolazione consisteva nel fatto che se papà si innervosiva con la mamma per una qualsiasi questione si rifiutava di mangiare, lei allarmata portava in tavola ogni ben di Dio e mi obbligava ad assaggiare tutto perché "forse così se lo mangi  tu, che lo sai gestire( papà), gli viene voglia e mangia", e io mangiavo... a qualche domenica di distanza quando il sole splendeva sul loro rapporto loro mangiavano di tutto e io ero a dieta perché grassa! Ed ecco i famosi pomeriggi a casa da sola mentre loro erano affacendati nell'orto o in visita parenti a mangiare davanti alla tv: forse all'inizio era per fame poi è diventata un'abitudine.
Gli episodi che vi ho appena raccontato altro non sono che la fotografia di quel rapporto sicuro/insicuro di cui vi parlavo prima.
Loro insieme erano fatti così, oggi a distanza di molti anni dalla morte di papà la mamma è forse ancora peggio e più agguerrita che mai con me che rimango sempre una piccola bambina incapace e purtroppo devo accettare il fatto che questo non cambierà. Sarà sempre lei a decidere, qualunque cosa io faccia, se è meritevole oppure no indipendentemente dalla realtà!
Intendiamoci sul fatto che ancora da lei non riesco a staccarmi del tutto è un po come la sindrome della vittima che si innamora del carnefice. Molti leggendomi penseranno che sia stupida o debole, ma chi come me vive una dipendenza sa di cosa parlo.
La chiave della libertà sta purtroppo tutta qua: liberarsi da queste catene emotive.
Oltre a questo (la famiglia) sei anche il risultato della tua cultura ed è proprio lì che il comportamento dei miei in un certo modo viene "avallato" come normale.
Cosa intendo? Ve lo racconto la prossima volta.
Buona serata a tutti!