Il secondo grande "rovescio
della medaglia" è il "mio " essermi sentita sempre di serie B
rispetto a tutti i miei "primi" cugini, figli del fratello di mia
madre. Se parlate con lei difenderà con forza la sua versione e cioè che mi
sono inventata tutto e che non è mai stato vero. Ammettendo che anche quanto
dice lei sia vero, fatto sta che la mia "percezione" di come sono
andate e stanno andando le cose è ben diversa.
Sono legata ai miei cugini ma
ieri come oggi ho la netta sensazione che questa sia una relazione affettiva
familiare a "senso unico". Tralasciando il più piccolo, con cui mi
dividono dieci anni e che ho sempre considerato il "piciul" (piccolo
in friulano) di casa, con gli altri due le cose sono diverse.
Loro avevano i loro genitori e in
più, oltre a bisnonni e nonni materni, avevano in casa anche nostra nonna
Letizia, la mamma di mia mamma. Dell’unico mio cugino diretto da parte di mio
padre so poco e non ci frequentiamo, papà non amava frequentare le sue sorelle
e quindi di conseguenza non sono quasi mai state presenti durante la mia infanzia.
I genitori di mio padre erano
ormai morti da tempo, nonno Giovanni nel 1958 a 44 anni a seguito di un
incidente sul lavoro mentre nonna Maria a 49 anni nel 1969 di cancro al seno.
Il papà di mia mamma, Giovanni anche lui, era morto nel 1972 a 58 anni. Restava
quindi solo la nonna.
Un piccolo inciso: a parte l'incidente sul lavoro gli altri due si sono trascurati la salute fino alla morte come zia Maìa. Forse sarebbero stati qui per molti anni a venire. Di risposte ben poche anche qui: mamma si rifiuta ancora oggi di parlare della morte di suo padre e mio papà parlava pochissimo dei suoi genitori tanto che non ne conoscevo nè il compleanno nè l'esatta data di morte ma solo l'anno perchè era scritto sulla lapide. Poi durante la specializzazione post laurea in psicoterapia ho voluto ricostruire il mio albero genealogico e grazie ad un fratello di mia nonna partena ho scoperto qualcosa in più.
La domanda che mi facevo più di
frequente non era, come si potrebbe immaginare, perché non posso stare con
mamma e papà, ma "perché devo stare dagli zii se ho una nonna? Loro hanno
tutto e io niente".
Il sabato, quando rientravano da
Tarvisio, i miei passavano prima dalla nonna e dai miei cugini e poi venivano a
prendermi e io a chiedermi "perché non posso anche io stare con
loro?".
Mamma se la vende con un
"scaricavamo tua nonna ( a volte lavorava per qualche giorno con loro) e
poi venivo a prenderti perché così potevamo andarcene a casa e stare tranquilli",
oppure se la nonna era a Vajont passavano di là "perché così mi levavo
l'incombenza di passare da mia madre e poi potevo godermi la mia famiglia. Quanti
scherzi strani che ci gioca la mente: come potevo capirlo io? Non facevo
domande e nulla mi veniva spiegato.
Io ero sempre quella
"storta", quella "diversa". Pensate che ancora oggi mi
vengono ripetutamente rimproverate tre distinte situazioni: la prima a San
Nicolò del 1976 (avevo un anno e mezzo!!) quando aperto il regalo che "San
Nicolò" aveva lasciato, pare mi sia girata verso mio padre e abbia detto
"Edo dove lo hai tompelato?" (Valerio dove lo hai comprato? Mio padre
si chiamava così). Mica era colpa mia se non ho mai creduto a Santi portatori
di regali e a Babbo Natale: mi è sempre sembrato illogico, di questo me ne
ricordo bene.
La seconda durante la befana del
1981: mi ero innamorata di un asse da stiro giocattolo e i miei furono felici
di comperarmelo ma mia madre sottolinea sempre " mi hai tolto quello che
avevano le altre madri a parte quella volta del ferro da stiro, tu non hai mai
chiesto o voluto niente, eravamo noi scemi ad essere più contenti di te quando
ti compravamo dei regali". L'unica cosa che volevo era sentirli vicino e
non l'ho mai avuta, tra l'altro sappiate che odio stirare! Almeno oggi posso
vendermela che le mie cinque ernie del disco mi fanno troppo male per fare quel
lavoro (verissimo purtroppo, ma comunque non lo farei).
La terza, avvallata in questo
caso anche dalla mia compianta maestra elementare, era rispetto a un tema che
avevo scritto in terza elementare e per cui mi ero beccata un
"malissimo", all'epoca non esistevano voti tipo A, B ecc. Il tema in
questione riportava questa frase "incriminata" : " Il cacciatore puntò al cuore l'uccellino e sparò e l'uccellino
volò via". Mi hanno sempre rimproverato che non ero realistica e
quando cercavo loro di spiegare che io mai avevo detto che il proiettile lo “aveva
preso" mi rispondevano dicendomi che le "bugie hanno le gambe
corte". Mah.
Ho sempre percepito, a torto o a
ragione ancora non lo so, di essere nel posto sbagliato o sbagliata perché nel
posto di qualcun altro.
Venivo paragonata perfino a figli
di primi cugini di mia mamma che non vivevano neanche a Vajont. Gli altri erano
sempre più bravi in tutto. Va sottolineato che in effetti, questi cugini molto
più intelligenti e bravi di me lo sono veramente ma comunque resta una brutta
cosa da dire a un figlio.
Gli stessi miei cugini diretti non
mi hanno mai considerato particolarmente, ora da grandi le cose sono un po
diverse soprattutto dopo l’intervento di bypass. Da quando sono diventata “normale”
ho la sensazione di essere considerata diversamente. Non voglio mettere in
dubbio cosa provano per me perché in realtà non lo so, quello che percepisco è
che siamo passati dal “ci sei, in fondo i parenti vanno tenuti per quello che
sono” a “ma forse poi così male non è”.
A scuola sinceramente non ho mai
avuto voti alti, vivacchiavo sulla scia della piena sufficienza ma lontana dai
sette. Sono sempre stata asina in matematica e invece che studiare più
duramente ho lasciato perdere negli anni e oggi da quel punto di vista sono
irrecuperabile. Ho "avvallato" quello che lei pensava di me. Non in
tutto però.
Durante il colloquio di terza
media, poco prima degli esami finali e poco dopo la morte della zia, la
professoressa di Italiano disse a mia madre che era meglio che si rassegnasse
all’idea di mandarmi in una scuola professionale perché nella vita a parte “forse”
imparare un “piccolo” mestiere non avrei potuto fare.
Ammiro profondamente chi oggi ha
il coraggio e l’abilità di essere un artigiano e fare con passione e dedizione il
suo lavoro “manuale”, la professoressa al contrario l’ho sempre considerata
cafona e con scarsa propensione psicopedagogica. Lei, come molti altri, di me
non solo non aveva capito nulla ma non ci ha nemmeno mai provato.
Oltre a lei anche il professore
di Inglese le disse che era molto preoccupato che avessi scelto una scuola di
lingue perché proprio non ero portata.
Come sempre gli adulti sanno tutto
dei “bambini” cui devono fare da “guida”. Scusate mi vien da ridere.
Stavolta la tendenza ad avere “il
meglio” di mia madre è corsa in mio aiuto, mai avrebbe accettato che io non
prendessi il diploma. Quello per lei, pur di non sfigurare con la sua famiglia,
era il minimo sindacale. Per cui il suo “devi
diplomarti, in quello che vuoi ma lo devi fare” mi ha in un certo senso “salvato”
da questi professori che forse erano peggio di lei.
Individuai nel liceo linguistico
un possibile sbocco, in più essendocene uno anche a Udine speravo di
trasferirmi da loro a Tarvisio e andare su e giù come i miei vecchi compagni
facevano tra Pordenone e Vajont.
Ovviamente non volle sentire
ragioni, collegio e scuola privata a Pordenone così magari nel “privato” sarei
stata seguita meglio e mi avrebbero portato a fine carriera scolastica: da qui
il suo motto “quando pago non prego”, mi aspetto il servizio per cui ho
pagato. Motto perfettamente legittimo in ambito lavorativo, tanto che io lo uso
sempre nel mio lavoro ma sicuramente inadeguato in ambito familiare.
La sua voglia “di farsi bella” al
pubblico che secondo la sua mente contorta guardava alla nostra famiglia, mi ha
aiutato a non disperdermi, questo glielo devo. Sempre a questo periodo del
collegio e delle scuole superiori devo anche la dirompente forza distruttiva di
Attila che si fa presente in tutto il suo splendore portandomi ad ingrassare di
circa 40 kg durante il primo anno: ne parleremo presto.
Fortunatamente il mio era un
liceo di quelli seri e ho sgobbato davvero tanto per guadagnarmi il diploma!
Spero un giorno di incontrare
quei professori per poter dire loro che mi sono guadagnata con fatica una
laurea, una specializzazione, alcuni master e molto altro oltre a parlare sei
lingue diverse: così per il gusto di fargli capire che questa volta è andata
bene ma che con il loro atteggiamento potrebbero rovinare dei giovani validi
che forse a differenza di altri hanno solo bisogno di qualche attenzione
speciale in più e non per questo vanno etichettati come somari.
Il “sentirsi sbagliato” è davvero
una delle sensazioni più negativamente devastanti che un bambino o una persona
possa mai provare nell’arco della vita. È il sentimento che più di tutti porta
alla vergona che di conseguenza porta al nascondersi per mangiare, per
riempiersi di un po di “amore sicuro”.
Il discorso del sentirsi
inadeguato è permeante tutta la mia vita e spesso tornerà fuori in futuro in
racconti e aneddoti.
Alla prossima!