Il terzo e in un certo qual modo
più importante rovescio di medaglia è “come la famiglia ti forgia” nei primi
anni di vita. È tutto una questione di “imprinting”.
È nei primi anni che il bambino
impara a gestire le varie situazioni che gli accadono e come vi avevo già
raccontato sono queste situazioni che alla fine “forgiano” il nostro rapporto
con il “mondo esterno”.
Nel mio caso le situazioni che
più di tutte hanno ancora oggi un risvolto durissimo sul mio modo di intendere
la vita e viverla sono: il lutto, la salute e la loro “gestione” emotiva. A
cercare di voler essere più generici è predominante “la gestione emotiva di tutte
quelle situazioni negative o potenzialmente tali” che ci capitano nel corso
della vita. Ad un estremo troviamo il lutto all’altro estremo, a titolo esemplificativo
e non esaustivo delle cose più banali che possono accadere, il commettere un
errore sul lavoro.
Il mio personale rapporto con la
morte è sempre stato negativo perché non vissuta come “parte della vita” o dal
punto di vista cristiano come “inizio di una vita eterna ancora più bella e
soddisfacente” ma come “disgregazione di affetti e famiglia che può portare a
vivere il tempo che ti resta solo nel ricordo e nella mancanza più profonda di
colui/lei che ci ha lasciato poiché da solo (o senza di lui/lei) non puoi/sei nulla.
Indovinate: di chi è questo
pensiero?
Il primo contatto con la morte di
cui abbia “coscienza di ricordo” fu la morte di nonna Letizia. Sono sincera non
provai un particolare dolore poiché come figura fu sempre marginale per me
rispetto a zia Maìa. Quello che fu e che a pensarci bene è ancora devastante è
quanto questa morte come le altre che verranno abbiano influito sempre
negativamente sul modo di vivere della nostra famiglia.
Di nonna Letizia so ben poco,
compleanno e data di morte perché se ancora oggi a distanza di quasi 40 anni
non “fai dire le messe” poi la “gente” pensa che non te ne freghi abbastanza (ovviamente),
ma di com’era come persona e madre ho solo dei “sentito dire” da parte di mia
mamma.
Mi piacerebbe saperne molto di
più e con informazioni reali ed obiettive ma purtroppo ad oggi sono morti tutti
quelli che avevano a che fare con lei e prima avevo troppo poco interesse per
fare domande.
Credo fosse una donna molto
esigente e molto autocentrata (forse fino all’egoismo) perché vedo la grande
incapacità di mia mamma nel dare affetto: per cui si può dedurre che non ne
abbia ricevuto oppure come dice lei “devi dirmi come devo fare perché a me non
lo hanno insegnato”; almeno lo ammette.
Pare che una delle frasi
preferite della nonna quando sono nata io sia stata: “beh sono proprio contenta
per te (mia madre) ti sei fatta “le mollette per non scottarti” come ho fatto
io”, le mollette altro non sono che le presine. Con questo voleva dire che la
fortuna di avere una figlia femmina sta nel fatto che ti sarà di aiuto in casa
e avrai qualcuno che ti guarda durante la vecchiaia (ai maschi questo non viene
chiesto nella nostra famiglia, anzi guai a chi lo fa). Povero papà che a lui
invece veniva chiesto continuamente di essere “madre” e non padre. Questo è uno
dei primi grandi esempi dell’ambivalenza con cui sono cresciuta: all’interno
della famiglia (allargata) ci sono delle regole, che però per te (e la tua famiglia)
non valgono da qui ti chiedi se ti hanno adottato prima o sei semplicemente “altro”
da loro.
Sembra una cosa banale ma se
provate ad applicarla a tutte le regole che mi sono state “insegnate” alla fine
il conto da pagare in termini emotivi è stato piuttosto salato.
Nonna Letizia come tutti gli
altri della mia famiglia (a parte zio Giosafat e sua moglie Maria) è morta piuttosto
giovane aveva appena compiuto 64 anni. La sua storia è una fotocopia delle
altre, si è trascurata la salute fin quando è stato troppo tardi per rimediare,
anche qui come per zia Maìa non si sa di cosa “esattamente” sia morta, se
chiedete a mia mamma vi risponde “aveva il fegato che faceva acqua”. Molto
probabilmente era una sorta di cirrosi (le piaceva il bicchiere in più anche se
non ho ricordi di lei ubriaca) oppure un cancro. La parola cancro mia mamma non
riesce nemmeno a pronunciarla per cui se può “raccontarsela” diciamo che lo fa
e si autoconvince che non è cancro ma come in questo caso il “fegato che fa
acqua” oppure nel caso di suo padre (qui sono abbastanza sicura della diagnosi)
“per colpa dei medici di Udine che non avevano visto che l’ulcera aveva
perforato il pancreas”, e io sono Biancaneve.
Nel caso trattasi di chiunque altro
al di fuori della famiglia la diagnosi di cancro è accettabile ma “noi non ne
abbiamo”.
Ci ha pensato la vita nel 2013 a
ridimensionarla, con il mio di cancro e quello che in pochi mesi si è portato
via suo fratello.
È l’estate del 1981 quando la
nonna muore, il 14 luglio. Non ho molti ricordi se non quello di me insieme ai
miei cugini seduti sulle scale di casa ad aspettare che la mamma tornasse dall’ospedale
insieme a suo fratello e della camera ardente allestita in casa e vegliata come
si faceva “una volta”. Ribadisco non ho ricordo di dolore, quello che invece
ricordo molto bene è che il funerale era il giorno del compleanno di papà il 17
luglio e in merito a questo ci fu un’accesa discussione in famiglia: brutto
rovinarsi la ricorrenza con un funerale! Mah.
Dalla morte della nonna la mamma
non smette di passare a casa del fratello e dei nipoti prima di venire a
prendere me da zia Maìa ecco quindi che le sue risposte di giustificazione non erano
che stupide bugie. Se fosse stato vero che la sua priorità era “godersi in
tranquillità la sua famiglia” questa morte l’avrebbe liberata del vincolo e ci
avrebbe permesso di stare insieme.
La verità è che le sue priorità
sono sempre state nell’ordine: mio padre, suo fratello e la sua famiglia, la
gente in generale e io in fondo.
Con tutto quello che succederà
negli anni alla nostra famiglia e la sua età che avanza, le è rimasta solo la
priorità della gente: io non esito proprio, papà è morto e i miei cugini li
vede poco con la scusa che almeno 6/7 mesi l’anno non torna a casa da Tarvisio.
Alla fine di “tutti” è rimasta l’ultima in vita: ironia del destino.
Rimpiango di non aver conosciuto
i nonni e di non aver avuto la possibilità di farmi una mia opinione, forse se
lo avessi fatto mi avrebbe aiutato a vivere “diversamente” quella che è la “realtà”
in cui mia mamma mi ha fatto vivere per molti anni, distante dalla realtà vera:
in fondo ho vissuto dentro i suoi personali lutti senza imparare a vivere i “miei”
e cercando di essere quanto più invisibile possibile per non darle “altre
sofferenze”.
La morale di tutto questo è cercate sempre di non proiettare quelli che sono vostri bisogni sui vostri figli o sugli altri in generale: non sono vostre estensioni. Abbiate il coraggio di riconoscere chi è altro da voi e rispettatelo nei sentimenti. Sempre.
Rido. La vita qui ha bastonato
me, ero tanto invisibile dentro quanto ero ingombrante fuori!
A presto e buon 1° maggio a
tutti!