lunedì 30 aprile 2018

IL TERZO ROVESCIO DELLA MEDAGLIA


Il terzo e in un certo qual modo più importante rovescio di medaglia è “come la famiglia ti forgia” nei primi anni di vita. È tutto una questione di “imprinting”.
È nei primi anni che il bambino impara a gestire le varie situazioni che gli accadono e come vi avevo già raccontato sono queste situazioni che alla fine “forgiano” il nostro rapporto con il “mondo esterno”.
Nel mio caso le situazioni che più di tutte hanno ancora oggi un risvolto durissimo sul mio modo di intendere la vita e viverla sono: il lutto, la salute e la loro “gestione” emotiva. A cercare di voler essere più generici è predominante “la gestione emotiva di tutte quelle situazioni negative o potenzialmente tali” che ci capitano nel corso della vita. Ad un estremo troviamo il lutto all’altro estremo, a titolo esemplificativo e non esaustivo delle cose più banali che possono accadere, il commettere un errore sul lavoro.
Il mio personale rapporto con la morte è sempre stato negativo perché non vissuta come “parte della vita” o dal punto di vista cristiano come “inizio di una vita eterna ancora più bella e soddisfacente” ma come “disgregazione di affetti e famiglia che può portare a vivere il tempo che ti resta solo nel ricordo e nella mancanza più profonda di colui/lei che ci ha lasciato poiché da solo (o senza di lui/lei) non puoi/sei nulla.
Indovinate: di chi è questo pensiero?

Il primo contatto con la morte di cui abbia “coscienza di ricordo” fu la morte di nonna Letizia. Sono sincera non provai un particolare dolore poiché come figura fu sempre marginale per me rispetto a zia Maìa. Quello che fu e che a pensarci bene è ancora devastante è quanto questa morte come le altre che verranno abbiano influito sempre negativamente sul modo di vivere della nostra famiglia.

Di nonna Letizia so ben poco, compleanno e data di morte perché se ancora oggi a distanza di quasi 40 anni non “fai dire le messe” poi la “gente” pensa che non te ne freghi abbastanza (ovviamente), ma di com’era come persona e madre ho solo dei “sentito dire” da parte di mia mamma.
Mi piacerebbe saperne molto di più e con informazioni reali ed obiettive ma purtroppo ad oggi sono morti tutti quelli che avevano a che fare con lei e prima avevo troppo poco interesse per fare domande.
Credo fosse una donna molto esigente e molto autocentrata (forse fino all’egoismo) perché vedo la grande incapacità di mia mamma nel dare affetto: per cui si può dedurre che non ne abbia ricevuto oppure come dice lei “devi dirmi come devo fare perché a me non lo hanno insegnato”; almeno lo ammette.
Pare che una delle frasi preferite della nonna quando sono nata io sia stata: “beh sono proprio contenta per te (mia madre) ti sei fatta “le mollette per non scottarti” come ho fatto io”, le mollette altro non sono che le presine. Con questo voleva dire che la fortuna di avere una figlia femmina sta nel fatto che ti sarà di aiuto in casa e avrai qualcuno che ti guarda durante la vecchiaia (ai maschi questo non viene chiesto nella nostra famiglia, anzi guai a chi lo fa). Povero papà che a lui invece veniva chiesto continuamente di essere “madre” e non padre. Questo è uno dei primi grandi esempi dell’ambivalenza con cui sono cresciuta: all’interno della famiglia (allargata) ci sono delle regole, che però per te (e la tua famiglia) non valgono da qui ti chiedi se ti hanno adottato prima o sei semplicemente “altro” da loro.
Sembra una cosa banale ma se provate ad applicarla a tutte le regole che mi sono state “insegnate” alla fine il conto da pagare in termini emotivi è stato piuttosto salato.

Nonna Letizia come tutti gli altri della mia famiglia (a parte zio Giosafat e sua moglie Maria) è morta piuttosto giovane aveva appena compiuto 64 anni. La sua storia è una fotocopia delle altre, si è trascurata la salute fin quando è stato troppo tardi per rimediare, anche qui come per zia Maìa non si sa di cosa “esattamente” sia morta, se chiedete a mia mamma vi risponde “aveva il fegato che faceva acqua”. Molto probabilmente era una sorta di cirrosi (le piaceva il bicchiere in più anche se non ho ricordi di lei ubriaca) oppure un cancro. La parola cancro mia mamma non riesce nemmeno a pronunciarla per cui se può “raccontarsela” diciamo che lo fa e si autoconvince che non è cancro ma come in questo caso il “fegato che fa acqua” oppure nel caso di suo padre (qui sono abbastanza sicura della diagnosi) “per colpa dei medici di Udine che non avevano visto che l’ulcera aveva perforato il pancreas”, e io sono Biancaneve.
Nel caso trattasi di chiunque altro al di fuori della famiglia la diagnosi di cancro è accettabile ma “noi non ne abbiamo”.
Ci ha pensato la vita nel 2013 a ridimensionarla, con il mio di cancro e quello che in pochi mesi si è portato via suo fratello.

È l’estate del 1981 quando la nonna muore, il 14 luglio. Non ho molti ricordi se non quello di me insieme ai miei cugini seduti sulle scale di casa ad aspettare che la mamma tornasse dall’ospedale insieme a suo fratello e della camera ardente allestita in casa e vegliata come si faceva “una volta”. Ribadisco non ho ricordo di dolore, quello che invece ricordo molto bene è che il funerale era il giorno del compleanno di papà il 17 luglio e in merito a questo ci fu un’accesa discussione in famiglia: brutto rovinarsi la ricorrenza con un funerale! Mah.

Dalla morte della nonna la mamma non smette di passare a casa del fratello e dei nipoti prima di venire a prendere me da zia Maìa ecco quindi che le sue risposte di giustificazione non erano che stupide bugie. Se fosse stato vero che la sua priorità era “godersi in tranquillità la sua famiglia” questa morte l’avrebbe liberata del vincolo e ci avrebbe permesso di stare insieme.
La verità è che le sue priorità sono sempre state nell’ordine: mio padre, suo fratello e la sua famiglia, la gente in generale e io in fondo.

Con tutto quello che succederà negli anni alla nostra famiglia e la sua età che avanza, le è rimasta solo la priorità della gente: io non esito proprio, papà è morto e i miei cugini li vede poco con la scusa che almeno 6/7 mesi l’anno non torna a casa da Tarvisio. Alla fine di “tutti” è rimasta l’ultima in vita: ironia del destino.

Rimpiango di non aver conosciuto i nonni e di non aver avuto la possibilità di farmi una mia opinione, forse se lo avessi fatto mi avrebbe aiutato a vivere “diversamente” quella che è la “realtà” in cui mia mamma mi ha fatto vivere per molti anni, distante dalla realtà vera: in fondo ho vissuto dentro i suoi personali lutti senza imparare a vivere i “miei” e cercando di essere quanto più invisibile possibile per non darle “altre sofferenze”.
La morale di tutto questo è cercate sempre di non proiettare quelli  che sono vostri bisogni sui vostri figli o sugli altri in generale: non sono vostre estensioni. Abbiate il coraggio di riconoscere chi è altro da voi e rispettatelo nei sentimenti. Sempre.

Rido. La vita qui ha bastonato me, ero tanto invisibile dentro quanto ero ingombrante fuori!

A presto e buon 1° maggio a tutti!