Ho avuto la fortuna di passare 13 bellissimi
anni a fianco della zia. L'amavo molto e lei amava me. Purtroppo però come in
tutte le storie c'è anche il rovescio della medaglia.
Di quegli anni in particolare ne individuo tre di rovesci di cui due ancora presenti anche se, uno in particolare, ha preso connotazioni diverse con il passare del tempo.
Di quegli anni in particolare ne individuo tre di rovesci di cui due ancora presenti anche se, uno in particolare, ha preso connotazioni diverse con il passare del tempo.
La zia quando ha iniziato a prendersi cura di me era già diventata mamma di mio cugino, allora quattordicenne, e aveva anche perso il suo primogenito che nacque morto.
Mio zio, suo marito, mi amava come il figlio che aveva perduto ma non ho mai saputo se fosse proprio per quella grande disgrazia o per semplice cultura (tipica delle nostre zone e non solo), che si avvicinò troppo alla bottiglia. Era un alcolista anche se per fortuna di quelli che quando si ubriaca è " tranquillo". Non ho ricordi di averlo mai sentito urlare o che avesse comportamenti aggressivi con chiunque di noi: lo sentivo però cantare! Era arrivato ad acquistare un merlo indiano a cui aveva insegnato a fischiare bandiera rossa, si chiamava Checco ed era davvero bravissimo!
A differenza degli zii mio cugino non è stato felice di dividere con me le attenzioni dei suoi genitori. Vuoi perché era adolescente, vuoi per carattere, credo che in certi momenti sia arrivato ad odiarmi. Dalla morte dello zio ( si è suicidato nel luglio del 1992), ci frequentiamo pochissimo. Credo che ora, da grande, mi tolleri e forse è anche orgoglioso ma non ne sarei proprio così sicura.
Torneremo a tempo debito sulla morte degli zii
e sulla morte in generale.
Arrivo quindi dagli zii intorno a ottobre del 1975. Sono allergica a qualsiasi tipo di latte, peso pochissimo, circa 4 kg e non cresco. Mamma era preoccupata tanto che mi portava dai migliori specialisti (imparerete che lei è fissata con il "meglio" di tutto), fin quando in Agordo dall'ora
Primario, le viene consigliato di cominciare a svezzarmi. Si acquista il frullatore e mi danno le prime pappe.
Mia madre racconta che ero talmente "morta di fame" che mio zio, stanco di sentire il mio pianto disperato tagliò la punta della tettarella perché mangiassi di più e più in fretta! Poi, passata alle pappe vere e proprie, pare dovessero darmi da mangiare in tre... dentro un cucchiaio,fuori quello e dentro l'altro già pronto mentre il terzo mi distraeva con un sonaglio! Vengo da una famiglia di instabili!
La mia storia d'amore con il cibo
nasce praticamente con me e viene "avvallata" da una serie di
credenze "ingenue" sulla cura dei bambini.
Zia Maìa era una donna d'altri
tempi piuttosto grezza e sbrigativa nel modo di fare ma ha sempre cercato di
fare del suo meglio con me e non ha mai fatto differenze tra me e mio cugino;
purtroppo era anche piuttosto debole nei confronti del figlio tanto che spesso
faceva finta di non vedere dei comportamenti inaccettabili di quest'ultimo. Vi
dico soltanto che è solo da pochi anni che non ho più paura quando un uomo alza
la voce con me!
Zia non era una gran cuoca ma il
cibo in tavola non mancava mai, soprattutto se avanzava si rischiava di
mangiare pastasciutta o minestra anche a colazione il giorno successivo.
Ero libera di correre nei prati e
di giocare, non sono mai stata spronata più di quello per la scuola perché il
compito era stato riversato addosso a mia cugina, maestra elementare,
che viveva nella casa accanto con il fratello, i suoi genitori e un
altro bambino "in affido", l'amico di una vita cui sono ancora oggi
legatissima. Sempre a lei "che sapeva spiegare" fu lasciato il compito di "aiutarmi"
quando un giorno fossi diventata "signorina". Zia Maìa non era molto
anziana ( morì a soli 63 anni) ma non era proprio portata per "certe cose
da femmine".
I prima anni a Vajont erano poche
le famiglie con il telefono e quando mia mamma chiamava ( tutte le sere), ero
costretta a mollare gli amici per andare a casa di una vicina a rispondere! All'incirca nel 1983/84 arrivò il telefono anche alla zia e da quel
giorno dovetti aspettare la chiamata in casa ( il telefono veniva usato solo
per ricevere le chiamate di mamma). Quanto ho odiato quelle telefonate! E
quanto odiavo andare via con i miei genitori il sabato sera! Non vedevo l'ora
arrivasse lunedì per tornare dalla zia. Odiavo anche l'estate perché
significava che senza l'impegno della scuola dovevo passare due mesi e mezzo
con loro a Tarvisio al banco ( bancarella al mercato di loro proprietà), città
cui non mi sono mai integrata.
Per fortuna lassù c'era una
bambina di Erto la cui madre però a differenza dei miei genitori aveva deciso
di tenere con sé. Siamo molto amiche ancora oggi.
Solo oggi dopo molti anni posso
finalmente dire di aver capito il vero "perché" della scelta di
lasciarmi a Vajont che però vi racconterò un'altra volta.
Nonostante questo grande
"odio" che ero convinta di provare verso i miei genitori e mia mamma
in particolare ( ogni volta che stavo male era mio padre quello che tornava a
Vajont per accudirmi), un giorno di giugno del 1984 ho avuto il primo incontro ravvicinato
con la loro morte. Avevano avuto un incidente stradale piuttosto grave e fu la
zia ad avvisarmi mentre pranzavamo, al ritorno dalla corsa campestre che la
scuola organizzava ogni anno: da quel giorno ho odiato e odio ancora la corsa
campestre e l'atletica in generale ( tanto che non pratico) e ci ho messo anni
per ritornare a mangiare la mortadella, l'alimento che stavo consumando quando
mi è stata data la difficile notizia.
Questo per dirvi soltanto quanto
il cibo per me sia stato legato, forse involontariamente, sempre a tutto quello
che succede di buono o cattivo nella vita.
Gli episodi sarebbero ancora
molti da raccontare e sicuramente in questo viaggio prima o poi ne parleremo
ancora.
Nel prossimo capitolo parleremo
della morte di zia Maìa, della morte in generale e di quanto il lutto
"aiuti" in un certo senso il mio Attila ad essere sempre presente, nonché dei "tre rovesci della medaglia"
A presto!