giovedì 3 maggio 2018

ESTATI TARVISIANE



I tre ultimi racconti mi hanno decisamente provato nella scrittura e nel racconto, molto di più di quanto non immaginassi! Lo devo in primis a me stessa e a voi che mi state leggendo cercare di forzarmi a continuare a scrivere perché voglio arrivare alla fine di questo viaggio verso la ricerca della vera me. Me lo devo.

Con la morte di zia Maìa si conclude la mia infanzia e inizia un'altra epoca che mi ha segnato ancora più profondamente perché in fondo anche se il mio "imprinting" era già chiaro chi non ha radici salde, di soffrire ( o di imparare?) non smette mai veramente.

Sradicata brutalmente da quello che consideravo il mio "mondo" ( in senso di routine quotidiana) e come vi dicevo senza spiegazione valida, rimango un mese a casa dei miei genitori in attesa degli esami di terza media.

A pranzo andavo da mia zia Anna la moglie del fratello di mia madre a cui dedicherò un intero racconto a parte perché insieme a zio Giosafat è stata colei che mi ha veramente amato per quella che ero, forse ancora più di zia Maìa. Io però, rinchiusa nel mio dolore per la perdita di zia Maìa, l'ho capito solo dopo, da grande, che nella vita c'erano anche queste due persone che mi amavano e che il mondo non era finito il 17 maggio del 1989.

                                                                      io e zia Maìa


 

                                                                  Io e nonna Letizia.

Dopo gli esami di terza media, come ogni estate si parte alla volta di Tarvisio, saranno tre lunghissimi mesi come sempre. Il sabato si rientra a Vajont per poi ripartire il lunedì mattina molto presto in modo da arrivare per tempo con l'apertura del "banco" al mercato.

Quanto ho odiato quelle estati! Fondamentalmente per due motivi: il primo dovevo alzarmi prestissimo, che così presto non mi alzavo nemmeno quando andavo a scuola e dovevo passare tutto il giorno con i miei genitori, secondo, non avevo uno straccio di amico, venivo presa in giro da tutti i bambini presenti ( figli di altri proprietari) che mai mi hanno incluso nei loro giochi perché "balena". Il buffo è che se riguardo le foto di allora, magari ero "grande" per essere una bambina e per la mia età ma grassa proprio non ero.



Come vi ho già accennato a Tarvisio c'era anche una bambina di Erto la cui famiglia, a differenza della mia, ha deciso di risiedervi tutto l'anno e di mettere in affitto la casa di Vajont.

Siamo molto amiche ancora oggi ma fino ai diciotto anni era difficile che io la frequentassi molto perché lei a differenza mia, durante l'estate veniva mandata a stare da una signora che viveva in una bella e grande casa nel bosco ( la sera tornava a casa dalla sua famiglia) oppure dai suoi zii per qualche settimana a Lignano Riviera. Io invece ero la fortunata che doveva starsene al banco tutto il giorno, mangiando da un termos sopra uno scatolone vuoto rovesciato a mò di tavolino.

Poi c'erano i compleanni!! io sono nata in luglio, quindi a meno che non cadessero di sabato o domenica che potevo festeggiare a Vajont, dovevo sottopormi a infinite sessioni di fotografie ai laghi di Fusine ( mio padre era un fan della fotografia), ancora oggi non amo farmi fotografare.

                                                         Laghi di Fusine 07 luglio 1983


Molti potrebbero pensare che ci sono anche tanti risvolti positivi a voler guardare davvero questa esperienza come per esempio lo stare finalmente con i propri genitori, imparare a parlare altre lingue ( tedesco e sloveno) ed imparare un mestiere.

Io proprio non ce l'ho fatta a prendere quelle "estati" per il verso "giusto"!. Perché tornare poi a Vajont? Che senso aveva stancarsi a quella maniera e tutto per tornare a casa e stare chiusi in salotto davanti alla tv ad ingozzarsi mentre loro badavano all'orto? Non lo so, ma mi hanno fatto anche questa.

Io "dal regolamento" non sono mai stata contemplata questa è l'amara verità.

Avevo molte domande in testa dal: " perché non possiamo stare anche noi a Tarvisio?", al "perché non mi lasciate a Vajont e vi fate i cavoli vostri una volta per tutte?".

Mi sentivo e a volte mi sento ancora, come il bidone dove buttare tutta la spazzatura che non puoi riciclare, quella che non serve più a nulla.

Vi ricordate quando vi dissi che alla fine ho capito il vero perché del mio restare a Vajont invece che a  Tarvisio con i miei genitori?

È stato davvero difficile per me accettare quando ho realizzato questo "perché" alcuni anni dopo la morte di mio padre. La verità è che quel giorno, quello della rivelazione, mi è crollato il mondo addosso. Avevo speso gran parte della mia vita  a dare la "colpa" di "tutto" a mia madre ( non che sia esente) e vengo a scoprire che il dolore più grande di tutti quello del "distacco" ha in realtà origine da mio padre.

Come vi dicevo loro erano splendidi come coppia e vivevano in pura simbiosi, tutto quello che era "altro  da loro era vissuto come una minaccia o nel migliore dei casi come qualcosa di "superfluo".

La verità altro non era che siccome mio padre odiava tantissimo due cose: rispettivamente il freddo e Tarvisio, con la scusa che l'inverno era troppo freddo per lavorare l'attività era chiusa circa due mesi e mezzo l'anno in cui loro tornavano a vivere a Vajont. Nel momento in cui io fossi stata a vivere con loro e avessi iniziato la scuola, tornare a "casa" non sarebbe più stato possibile.
Sono stata sacrificata sull'altare del loro matrimonio a discapito di tutto.

Non è vero quindi che fu una semplice questione di "avvallo" di  specifici comportamenti culturali ma anche "una scelta ragionata". A voler pensarla male del tutto, forse nemmeno ragionata: "non esistevo quindi non dovevo essere presa in considerazione". Un po come un soprammobile che sposti in base alla casa che cambi.

Fu ed è davvero durissimo per me ammettere questo. Ho passato la vita arrabbiata con "Tarvisio", con "quelli che mi prendevano in giro", con mia mamma, con i parenti e con tutto quello che era esterno da me proprio per non voler passare attraverso questo dolore.

Quando oggi sento le frasi fatte come "a fare il genitore nessuno ti insegna" e simili mi vengono i brividi per la grande stupidità che racchiudono all'interno della loro semplicità.

La capacità di procreare non ti rende in "automatico" madre o padre: quello è uno status che va guadagnato attraverso il rispetto di tuo figlio.

Quanto mi sono sentita sola durante quelle estati e durante le domeniche passate a mangiare davanti alla tv!
É in quella solitudine, dal lutto di zia Maìa in su in particolare, che Attila mi viene in "soccorso" con la sua "amicizia", perché riempirmi non mi faceva "sentire".

Ci eravamo già "intravisti" qualche domenica, ma ci siamo realmente conosciuti il giorno che mi hanno "chiuso " in collegio, nel settembre del 1989.

Ma questa è un'altra storia che lascio per i prossimi racconti.