venerdì 20 aprile 2018

LA CULTURA CUI APPARTENIAMO


Presto ritorneremo a parlare della famiglia ma intanto parliamo un po di "avvallo" di comportamenti familiari all'interno della cultura di appartenenza.
L'Italia è un paese straordinario sotto molti aspetti ma quello che secondo me è uno tra quelli più straordinari è la differenza culturale che posso trovare di paese in paese anche a pochi chilometri di distanza. Non amo molto le etichette "generalizzate/standardizzate" per due motivi: primo non è vero, per me, che la media conta; ogni persona e ogni luogo ha la sua peculiare storia;  secondo se si generalizza si rischia di prendere degli enormi granchi.
Una delle prime cose che ti vengono insegnate se decidi di fare il mio mestiere, è quella di imparare ad ascoltare e a tacere prima di esprimere un qualsivoglia giudizio su una persona perché MAI puoi sapere la storia che ha alle spalle: dovrebbe ahimè valere anche per tutti i rapporti interpersonali in generale.
Mi spiego: davanti puoi avere due persone che hanno vissuto la stessa esperienza, ma il loro modo di reagire, seppur magari sotto certi aspetti simile, non può mai esserlo completamente perché il cammino che li ha portati a vivere la stessa esperienza è molto diverso, come è diversa la personalità.
Lo stesso, cari lettori, vale per i disturbi alimentari ( chi ne soffre non arriva dalla stessa storia) e per la cultura. Puoi essere del nord, del centro o del sud ma questo da solo non è sufficiente per darti una caratteristica generale e "vera"o perlomeno non lo è per me.
I miei genitori sono entrambi originari di un piccolo paese di montagna all'estremo confine nord della vecchia ( ormai chiusa) provincia di Pordenone: Erto e Casso.
Due piccoli agglomerati di case distanti uno dall'altro un paio di chilometri ma profondamente diversi. Gli abitanti di Casso sono di origine veneta, hanno un carattere più aperto e solare e anche il loro dialetto è di chiara derivazione veneziana. Erto invece, dove sono vissuti entrambi i miei genitori ( nella frazione di San Martino) ha origini ben più antiche forse anche di epoca romana con forti influenze celtiche e il dialetto è un misto tra ladino e francese: persone e dialetti completamente diversi così come anche la loro cultura di appartenenza.
Erto come Casso era profondamente segnato dallo spopolamento per la mancanza di lavoro in valle e da sempre le persone (spesso donne) si davano, tra gli altri mestieri ( boscaioli, cavatori ecc), al commercio ambulante,stando lontano da casa per molti mesi.
Si viveva in famiglie allargate, dove se vogliamo si può dire che tutta la comunità aiutava nell'accudimento dei più piccoli.
Mamma a differenza di mio padre , che ha avuto un'infanzia ben più dura e difficile, ha vissuto i suoi primi sei anni lontano dai miei nonni che erano affacendati nel girare il triveneto con i mercati ( ambulanti commerciavano in vestiario). Lei ne racconta sempre come il periodo più bello della sua vita e ricorda con rammarico quando, a sei anni, i nonni vennero a prenderla per portarla a vivere con loro a Bolzano dove avrebbe frequentato la prima elementare. Il suo ricordo più nitido è il grande dispiacere per aver dovuto imparare a mangiare con le posate!! In seguito poi si sarebbe trasferita nella Val Canale- Canal del Ferro prima nell'abitato di Carnia ( comune di Venzone) e poi in via definitiva a Tarvisio (Ud) al confine con Austria e Slovenia. È stata questa vita "ambulante" a salvarla dal disastro del 9 ottobre del 1963: era a Tarvisio per lavoro e non a casa a Erto. Per darvi un'idea di quanto sia attaccata alle sue radici e alla sua cultura in tutti i suoi anni di vita(71), non ha mai voluto trasferire la residenza a Tarvisio nonostante ci passi 340 giorni l'anno: prima a Erto e poi dopo il disastro, nel nuovo abitato di Vajont.
Memore della sua infanzia spensierata, quando sono arrivata io è stata ben felice di affidarmi alle cure amorevoli di una mia prozia materna, sorella di suo padre: mia zia Maria che per me è e sarà sempre zia MAÌA (con l'accento sulla i).
Con zia Maìa siamo state insieme da quando avevo poco più di tre mesi fino alla sua morte il 17 maggio del 1989 ( 13 anni).
Quello che io ho vissuto come un tragico abbandono altro non era che un comportamento "avvallato" dalla mia cultura: si fa così e fine del discorso, o perlomeno lo era per la mia famiglia.
La storia continua nei prossimi giorni!